sabato 20 agosto 2011

Hermann Hesse: Gli alberi sono come uomini solitari


«Per me gli alberi sono sempre stai i predicatori più persuasivi. Li venero quando vivono in popoli, in famiglie, in selve e boschi. E li venero ancora di più quando se ne stanno isolati. Sono come uomini solitari. Non come gli eremiti, che se ne sono andati di soppiatto per sfuggire ad una debolezza, ma come grandi uomini solitari, come Beethoven e Nietzsche. Tra le loro fronde stormisce il mondo, le loro radici affondano nell'infinito; tuttavia non si perdono in esso, ma perseguono con tutta la loro forza vitale un unico scopo: realizzare la legge che è insita in loro, portare alla perfezione la propria forma, rappresentare se stessi. Niente è più sacro e più esemplare di un albero bello e forte. Gli alberi sono santuari. Chi sa parlare con loro, chi li sa ascoltare, conosce la verità.» (Hermann Hesse)

lunedì 1 agosto 2011

Luigi Pirandello dal cap. V dell'Umorismo

La vita è un flusso continuo che noi cerchiamo d’arrestare, di fissare in forme stabili e determinate,dentro e fuori di noi, perché noi già siamo forme fissate, forme che si muovono in mezzo ad altre immobili, e che però possono seguire il flusso della vita, fino a tanto che, irrigidendosi man mano, il movimento, già a poco a poco rallentato, non cessi. Le forme, in cui cerchiamo d’arrestare, di fissare in noi questo flusso continuo, sono i concetti, sono gli ideali a cui vorremmo serbarci coerenti, tutte le finzioni che ci creiamo, le condizioni lo stato in cui tendiamo a stabilirci. Ma dentro di noi stessi, in ciò che noi chiamiamo anima, e che è la vita in noi, il flusso continua, indistinto, sotto gli argini, oltre i limiti che noi imponiamo, componendoci una coscienza, costruendoci una personalità. In certi momenti tempestosi, investite dal flusso, tutte quelle nostre forme fittizie crollano miseramente; e anche quello che non scorre sotto gli argini e oltre i limiti, ma che si scopre a noi distinto e che noi abbiamo con cura incanalato nei nostri affetti, nei doveri che ci siamo imposti, nelle abitudini che ci siamo tracciate in certi momenti di piena straripa e sconvolge tutto.

Vi sono anime irrequiete, quasi in uno stato di fusione continua, che sdegnano di rapprendersi, d’irrigidirsi in questa o in quella forma di personalità. Ma anche per quelle più quiete, che si sono adagiate in una o in un’altra forma, la fusione è sempre possibile: il flusso della vita è in tutti.
(Luigi Pirandello “saggio sull’umorismo” cap. V)

sabato 4 giugno 2011

Ray Bradbury: Ognuno deve lasciarsi qualche cosa dietro quando muore

Ognuno deve lasciarsi qualche cosa dietro quando muore, diceva sempre mio nonno: un bimbo o un libro o un quadro o una casa o un muro eretto con le proprie mani o un paio di scarpe cucite da noi. O un giardino piantato col nostro sudore. Qualche cosa insomma che la nostra mano abbia toccato in modo che la nostra anima abbia dove andare quando moriamo, e quando la gente guarderà l'albero o il fiore che abbiamo piantato, noi saremo là. Non ha importanza quello che si fa, diceva mio nonno, purché si cambi qualche cosa da ciò che era prima in qualcos'altro che porti poi la nostra impronta. La differenza tra l'uomo che si limita a tosare un prato e un vero giardiniere sta nel tocco, diceva. Quello che sega il fieno poteva anche non esserci stato, su quel prato; ma il vero giardiniere vi resterà per tutta una vita. 

(da “Fahrenheit 451”)

venerdì 3 giugno 2011

Milan Kundera: Le vite umane sono costruite come una composizione musicale


Le vite umane sono costruite come una composizione musicale. L'uomo, spinto dal senso della bellezza, trasforma un avvenimento casuale in un motivo che va poi a iscriversi nella composizione della sua vita. Ad esso ritorna, lo ripete, lo varia, lo sviluppa, lo traspone, come fa il compositore con i temi della sua sonata. [...] L'uomo senza saperlo compone la propria vita secondo le leggi della bellezza persino nei momenti di più profondo smarrimento. Non si può quindi rimproverare ad un romanzo di essere affascinato dai misteriosi incontri di coincidenze, ma si può a ragione rimproverare all'uomo di essere cieco davanti a simili coincidenze della vita di ogni giorno, e di privare così la propria vita della sua dimensione di bellezza.
(da "L'insostenibile leggerezza dell'essere")

lunedì 30 maggio 2011

Il candido giglio fluttua nei sospiri della notte...

"Ophelia", John Everett Millais, 1852, Tate Gallery di Londra.
1
Sull'onda calma e nera dove le stelle dormono
Fluttua la bianca Ofelia come un gran giglio, fluttua
Lentissima, distesa sopra i suoi lunghi veli...
- S'odono da lontano, nei boschi, hallalì.

Da mille anni e più la dolorosa Ofelia
Passa, fantasma bianco, sul lungo fiume nero;
Da mille anni e più la sua dolce follia
Mormora una romanza al vento della sera.

La brezza le bacia il seno e distende a corolla
Gli ampi veli, dolcemente cullati dalle acque;
Le piange sull'omero il brivido dei salici,
S'inclinano sulla fronte sognante le giuncaie.

Sgualcite, le ninfee le sospirano intorno;
Ella ridesta a volte, nell'ontano che dorme,
Un nido, da cui sfrùscia un batter d'ali:
- Un canto misterioso scende dagli astri d'oro.

2
 Pallida Ofelia! Come neve bella!
In verde età moristi, trascinata da un fiume!
- Calati dai grandi monti di Norvegia, i venti
Ti avevano parlato di un'aspra libertà;

Poi che un soffio, attorcendoti la chioma folta,
All'animo sognante recava strane voci;
E il tuo cuore ascoltava la Natura cantare
Nei sospiri della notte, nei lamenti dell'albero;

Poi che il grido dei mari dementi, immenso rantolo,
Frantumava il tuo seno, fanciulla, umano troppo, e dolce;
Poi che un mattino d'aprile, un bel cavaliere pallido
Sedette, taciturno e folle, ai tuoi ginocchi!

Cielo! Libertà! Amore! Sogno, povera Folle!
Là ti scioglievi come neve al fuoco:
Le tue grandi visioni ti facevano muta
- E il tremendo Infinito atterrì il tuo sguardo azzurro!

3
- E il Poeta racconta che al raggio delle stelle
Vieni, la notte, a prendere i fiori che cogliesti,
E che ha visto sull'acqua, stesa nei lunghi veli,
Fluttuare bianca come un gran giglio Ofelia.
(Arthur Rimbaud: "Ophelia")

lunedì 23 maggio 2011

Tributo a Audrey Hepburn

Christopher McCandless: La gioia di vivere

C'è tanta gente infelice che tuttavia non prende l'iniziativa di cambiare la propria situazione perché è condizionata dalla sicurezza, dal conformismo, dal tradizionalismo, tutte cose che sembrano assicurare la pace dello spirito, ma in realtà per l'animo avventuroso di un uomo non esiste nulla di più devastante di un futuro certo. Il vero nucleo dello spirito vitale di una persona è la passione per l'avventura. La gioia di vivere deriva dall'incontro con nuove esperienze, e quindi non esiste gioia più grande dell'avere un orizzonte in costante cambiamento, del trovarsi ogni giorno sotto un sole nuovo e diverso. (Christopher McCandless,da una lettera spedita a Ronald A. Franz)

domenica 8 maggio 2011

Tagore: “Maternità”


Da dove sono venuto? Dove mi hai trovato?
Domandò il bambino a sua madre.
Ed ella pianse e rise allo stesso tempo e stringendolo al petto gli rispose:
tu eri nascosto nel mio cuore bambino mio,
tu eri il Suo desiderio.
Tu eri nelle bambole della mia infanzia,
in tutte le mie speranze,
in tutti i miei amori, nella mia vita,
nella vita di mia madre,
tu hai vissuto.
Lo Spirito immortale che presiede nella nostra casa
ti ha cullato nel Suo seno in ogni tempo,
e mentre contemplo il tuo viso, l’onda del mistero mi sommerge
perché tu che appartieni a tutti,
tu mi sei stato donato.
E per paura che tu fugga via
ti tengo stretto nel mio cuore.
Quale magia ha dunque affidato il tesoro
del mondo nelle mie esili braccia?

lunedì 2 maggio 2011

Fëdor Dostoevskij: Sul valore dei sogni

I sogni sappiamo, sono davvero strani: qualcosa magari ci appare straordinariamente chiara, minuziosa come la cesellatura di un orafo, su altre cose invece si passa sopra senza notarle neppure come ad esempio lo spazio ed il tempo. Credo che i sogni nascano non dalla ragione, ma dal desiderio, non dalla testa, ma dal cuore, anche se la mia ragione in sogno si è esibita qualche volta in ingegnosi voli non da poco. Certo è che in sogno accadono cose del tutto incomprensibili. Mio fratello, ad esempio, è morto cinque anni fa, qualche volta lo sogno: egli prende parte alle cose della mia vita, siamo molto interessati l'uno all'altro, ma intanto, durante tutto lo svolgimento del sogno, io sono pienamente cosciente che mio fratello è morto e sepolto. […] E va bene, ammettiamolo pure, è un sogno, ma questa vita che viene tanto esaltata, io volevo finirla suicidandomi, invece il mio sogno, oh! Esso mi ha indicato una vita nuova. 
(da "Il sogno di un uomo ridicolo")

sabato 23 aprile 2011

Buona Pasqua a tutti gli Amici del Convivio

crocifisso attribuito a Michelangelo

«Fratelli, non sapete che un po’? di lievito fa fermentare tutta la pasta? Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi.» (San Paolo I Cor 5, 6b-8)

 

Pasqua è parola ebraica: vuol dire "passaggio". C'è stato un passaggio dalla schiavitù alla libertà: è stata la Pasqua degli ebrei. C'è stato un passaggio dalla morte alla vita: è stata la Pasqua  di Gesù. La parabola è racchiusa in una sola frase ed evidenzia il netto contrasto tra la piccola quantità di lievito e la grande massa di farina (tre misure equivalgono a 40 kg): nessuna donna ne impasta tanta in una volta sola; e per farla fermentare non basterebbe certo un pizzico di lievito. La meraviglia nasce dal fatto che una realtà tanto piccola - quel pizzico - produca un effetto tanto grande. Dio entra nella storia come 'lievito giusto', attraverso la semplicità di una parola. (Mons. Gianfranco Ravasi)

 

giovedì 21 aprile 2011

Conosci te stesso

«Forse la cosa più bella della psicologia analitica di Jung è il concetto di individuazione. Scopo della psicoanalisi è il processo di individuazione, che può essere tradotto con una frase emblematica di Nietzsche: “Diventa ciò che sei”, nel senso che nella nostra vita noi continuiamo a seguire dei modelli, che sono necessari, perchè si cresce per processi imitativi. I bambini crescono perchè vedono, imitano, ma poi bisogna staccarsi da questa imitazione e diventare quello che propriamente si è. Una ricognizione di sé. E qui c’è tutta la cultura greca alle spalle di questo concetto. L’oracolo di Delfi diceva “gnôthi seautón”, “Conosci te stesso”, e la prima condizione per diventare se stessi è quella di conoscersi, conoscere le proprie potenzialità la propria aretè, la propria virtù, la propria capacità, ciò per cui sei nato. E se riesci a far fiorire ciò per cui sei nato, se davvero diventi te stesso al di là dei modelli che vuoi imitare, al di là delle belle cose che ti vengono fatte vedere, se riesci a diventare te stesso, raggiungi la felicità. Scopo dell’analisi è diventare se stessi. E per questo però bisogna uscire dai comportamenti collettivi, dice Jung, non bisogna essere come gli altri, non bisogna essere neppure eccessivamente eccentrici perchè non bisogna confondere l’individuazione con l’eccentricità, ma quello di diventare se stessi è la condizione non solo della salute ma addirittura della felicità.» (Umberto Galimberti)

sabato 2 aprile 2011

Giovanni Paolo II: "Sentinelle del mattino"

Cari amici, vedo in voi le "sentinelle del mattino" in quest'alba del terzo millennio. Nel corso del secolo che muore, giovani come voi venivano convocati in adunate oceaniche per imparare ad odiare, venivano mandati a combattere gli uni contro gli altri. I diversi messianismi secolarizzati, che hanno tentato di sostituire la speranza cristiana, si sono rivelati veri e propri inferni. Oggi siete qui convenuti per affermare che nel nuovo secolo voi non vi presterete ad essere strumenti di violenza e distruzione; difenderete la pace, pagando anche di persona se necessario. Voi non vi rassegnerete ad un mondo in cui altri esseri umani muoiono di fame, restano analfabeti, mancano di lavoro. Voi difenderete la vita in ogni momento del suo sviluppo terreno, vi sforzerete con ogni vostra energia di rendere questa terra sempre più abitabile per tutti.

Cari giovani del secolo che inizia, dicendo "sì" a Cristo, voi dite "sì" ad ogni vostro più nobile ideale. Non abbiate paura di affidarvi a Lui. Egli vi guiderà, vi darà la forza di seguirlo ogni giorno e in ogni situazione.

Giovanni Paolo II: "Non abbiate paura!"

Non abbiate paura di accogliere Cristo e di accettare la Sua potestà! Aiutate il Papa e tutti quanti vogliono servire Cristo e, con la potestà di Cristo, servire l'uomo e l'umanità intera! Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo! Alla Sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa cosa è dentro l'uomo. Solo Lui lo sa! Oggi così spesso l'uomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del suo animo, del suo cuore. Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra. È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione. Permettete a Cristo di parlare all'uomo. Solo Lui ha parole di vita, sì! di vita eterna.

Giovanni Paolo II: "Inno alla vita"

La vita è dono meraviglioso di Dio e nessuno ne è padrone, l'aborto e l'eutanasia sono tremendi crimini contro la dignità dell'uomo, la droga è rinuncia irresponsabile alla bellezza della vita, la pornografia è impoverimento e inaridimento del cuore. La malattia e la sofferenza non sono castighi ma occasioni per entrare nel cuore del mistero dell'uomo; nel malato, nell'handicappato, nel bambino e nell'anziano, nell'adolescente e nel giovane, nell'adulto e in ogni persona, brilla l'immagine di Dio. La vita è un dono delicato, degno di rispetto assoluto: Dio non guarda all'apparenza ma al cuore; la vita segnata dalla Croce e dalla sofferenza merita ancora più attenzione, cura e tenerezza. Ecco la vera giovinezza: è fuoco che separa le scorie del male dalla bellezza e dalla dignità delle cose e delle persone; è fuoco che riscalda di entusiasmo l'aridità del mondo; è fuoco d'amore che infonde fiducia ed invita alla gioia.

Giovanni Paolo II: "Civiltà con l’anima"

Nessuna esperienza politica, nessuna forma di democrazia può sopravvivere, se viene meno l'appello ad una comune moralità di base. Nessuna legge scritta è sufficiente a garantire la convivenza umana, se non trae la sua intima forza da un fondamento morale. Una società che smarrisce la dimensione spirituale e religiosa vedrebbe i propri valori svuotarsi del loro contenuto più vero. Il progresso economico si rivelerebbe illusorio. Il dilagante conformismo dei desideri e dei comportamenti sta plasmando una civiltà uniforme, appiattita, sazia di benessere, ma povera di slanci ideali e di speranze, una civiltà povera di anima. L'insidia più grave di tale processo sta proprio nella tendenza a soffocare il respiro trascendente della cultura, impoverendola, livellandola, svuotandola di energia. Una città è ricca quanto è ricca la sua cultura, poiché le città sono unità viventi, che incorporano una memoria, custodiscono un'anima, vantano una loro genialità ed una loro specifica vocazione. Le città possono diventare fontane inesauribili, libri vivi, fari di luce per il cammino delle nuove generazioni.

Le montagne per Giovanni Paolo II

Davanti alla maestà dei monti, siamo spinti ad instaurare un rapporto più rispettoso con la natura. Allo stesso tempo, resi più coscienti del valore del cosmo, siamo stimolati a meditare sulla gravità delle tante profanazioni dell'ambiente perpetrate spesso con inammissibile leggerezza. L'uomo contemporaneo, quando si lascia affascinare da falsi miti, perde di vista le ricchezze e le speranze di vita racchiuse nel creato, mirabile dono della Provvidenza divina per l'intera umanità. (Giovanni Paolo II)

mercoledì 23 marzo 2011

Giacomo Leopardi "Alla Luna"


O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l’anno, sovra questo colle
Io venia pien d’angoscia a rimirarti:
E tu pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
Il tuo volto apparia, che travagliosa
Era mia vita: ed è, nè cangia stile
O mia diletta luna. E pur mi giova
La ricordanza, e il noverar l’etate
Del mio dolore. Oh come grato occorre
Nel tempo giovanil, quando ancor lungo
La speme e breve ha la memoria il corso
Il rimembrar delle passate cose,
Ancor che triste, e che l’affanno duri! 

Leopardi, cercando e detestando insieme la solitudine, trova nella luna la confidente ideale, discreta e costante: pur nel suo isolamento, si sente ancora parte di una natura palpitante e sofferente (ma viva) e percepisce addirittura nel moto dell’animo e nel ciclo degli astri il senso stesso della vita.
Il poeta parla alla luna; è a lei, amica fidata, che ricorda il se stesso di un tempo: volarono i giorni, cambiarono i motivi del dolore, ma lo scenario di ieri si ripresenta oggi identico. Un uomo piange, la luna ne addolcisce le lacrime e ne illumina i pensieri. Così dal cuore erompe un’invocazione.

Il fitto utilizzo della punteggiatura e la frequenza delle cesure conferiscono alla prima parte del brano un ritmo lento e quasi singhiozzante, che mima bene l’affannosa ricerca di parole di un animo angosciato.
La luna è “graziosa” (gradita, cioè, più che leggiadra) nell’invocazione iniziale; diventa “diletta” in quella finale: il passato è tutto circoscritto, cioè, dalla presenza di una luna che apre e chiude la prima parte della poesia. In Ring-komposition (composizione ad anello) è anche il concetto della rimembranza, al primo e al quindicesimo verso, echeggiante nella fitta rispondenza di parole composte con il prefisso ri- (rimirarti, rischiari, ricordanza), che indica la replica, la continua rivisitazione di uno stesso momento. L’uso del passato è limitato all’imperfetto, che suggerisce l’iterazione: non c’è soluzione di continuità fra ieri ed oggi; il passato si è riprodotto sempre identico a sé fino a diventare presente.

La poesia è fortemente intimistica, come sottolinea l’anafora del pronome personale (io mi rammento…io venia). Eppure, quando il poeta si fa spettatore di se stesso, si identifica nella luna e allora, sul ciglio, il pianto “sorgea”, con una metafora tipicamente astronomica. Tra la natura che risplende e la percezione “nebulosa e tremula” dell’autore, a cui un po’ la malattia agli occhi, molto la dilatazione dovuta dal pianto impedivano un visus chiaro e rassicurante, c’è un’antitesi che ben si attaglia alla poetica dell’autore e alla sua riflessione sul ruolo della natura, ora madre amorevole ora matrigna indifferente alla sofferenza umana.

domenica 20 marzo 2011

George Steiner "Mangiare da soli"

Mangiare da soli ci dà la sensazione di una solitudine particolare, a volte penosa. Invece, nel condividere cibo e bevande, penetriamo nel cuore della nostra condizione socioculturale. Le implicazioni simboliche e materiali di quell'azione sono quasi universali: comprendono il rituale religioso, le strutture e le divisioni dei ruoli fra i sessi, il campo erotico, le complicità e gli scontri politici, le opposizioni giocose o serie nel discorso, i riti del matrimonio o del lutto.

Banana Yoshimoto da "Kitchen"

Victor Gabriel Gilbert "A cup of coffee" - 1877
Non c’è posto al mondo che io ami più della cucina.
Non importa dove si trova, com’è fatta: purché sia una cucina, un posto dove si fa da mangiare, io sto bene. Se possibile le preferisco funzionali e vissute. Magari con tantissimi strofinacci asciutti e puliti e le piastrelle bianche che scintillano.
Anche le cucine incredibilmente sporche mi piacciono da morire.
Mi piacciono col pavimento disseminato di pezzettini di verdura, così sporche che la suola delle pantofole diventa subito nera, e grandi, di una grandezza esagerata. Con un frigo enorme pieno di provviste che basterebbero tranquillamente per un intero inverno, un frigo imponente, al cui grande sportello metallico potermi appoggiare. E se per caso alzo gli occhi dal fornello schizzato di grasso o dai coltelli un po’ arrugginiti, fuori le stelle che splendono tristi.
Siamo rimaste solo io e la cucina. Mi sembra un po’ meglio che pensare che sono rimasta proprio sola.

Madre Teresa di Calcutta "Tieni sempre presente"

Tieni sempre presente
che la pelle fa le rughe,
i capelli diventano bianchi,
i giorni si trasformano in anni.
Pero' cio' che e' importante
non cambia; la tua forza
e la tua convinzione
non hanno eta'.

Il tuo spirito e' la colla
di qualsiasi tela di ragno.
Dietro ogni linea di arrivo
c'e' una linea di partenza.
Dietro ogni successo
c'e' un'altra delusione.
Fino a quando sei vivo,
sentiti vivo.

Se ti manca cio' che facevi,
torna a farlo.
Non vivere di foto ingiallite...
insisti anche se tutti
si aspettano che abbandoni.
Non lasciare che si arrugginisca
il ferro che c'e' in te.
Fai in modo che invece
di compassione,
ti portino rispetto.

Quando a causa degli anni
non potrai correre,
cammina veloce.
Quando non potrai
camminare veloce, cammina.
Quando non potrai
camminare, usa il bastone.
Pero' non fermarti mai.

mercoledì 16 marzo 2011

Plutarco: il re Leonida di Sparta

fotogramma dal film "300"
«Quando Leonida partì per affrontare i persiani alle Termopili, sua moglie Gorgo gli chiese se aveva raccomandazioni da farle; le rispose: “Sposa un brav’uomo e metti al mondo bravi figli”.

Quando gli efori gli fecero notare che portava con ...sé pochi uomini alle Termopili, rispose: “Anche troppi per l’impresa che ci aspetta”.

Gli efori gli chiesero anche: “Quali sono i tuoi piani? Vuoi sbarrare il passo ai Barbari?”. Lui rispose: “L’unica cosa di certo che faremo sarà morire per i Greci”.

Alle Termopili, parlò così ai suoi uomini: “Dicono che i Barbari si sono avvicinati e che noi stiamo perdendo tempo. Sarà: adesso però o li ammazziamo oppure teniamoci pronti a morire”. Uno gli chiese: “Leonida, sei venuto con così pochi uomini a combattere contro una armata?”. Ed egli rispose: “Se pensate che è il numero quello che conta, allora neppure l’intera Grecia basterebbe, perché è poca cosa in confronto alla loro massa. Se invece conta il coraggio, allora anche questi pochi uomini sono sufficienti”» (Plutarco)

Chiusa dell'Apologia di Socrate

Antonio Canova, Apologia di Socrate davanti ai giudici. (part.) Venezia, collezione privata.
Ecco il motivo per cui la voce del dio non mi ha interdetto e perché io, contro i miei accusatori, contro quelli che mi hanno condannato, non ho alcun rancore, sebbene essi mi abbiano accusato e condannato non con questa intenzione, ma per farmi del male: in questo sono da biasimare. Tuttavia io li voglio pregare di una cosa: quando i miei figli saranno cresciuti, puniteli, cittadini, stategli dietro come io facevo con voi, se vedrete che si preoccupano più delle ricchezze o degli altri beni materiali che della virtù e se si crederanno di valere qualcosa senza valer poi nulla, rimproverateli, come io rimproveravo voi, per ciò che non curano e che, invece, dovrebbero curare, se credono di essere «grandi uomini» e poi non sono niente. Se farete questo, io e i miei figli avremo avuto da voi ciò che è giusto. Ma è giunta, ormai, l'ora di andare, io a morire, voi a vivere. Chi di noi vada a miglior sorte, nessuno lo sa, tranne Dio.

martedì 15 marzo 2011

John William Waterhouse

Cecilia Ahern: Quando si spezza il cuore

Se un piatto o un bicchiere cadono a terra senti un rumore fragoroso. Lo stesso succede se una finestra sbatte, se si rompe la gamba di un tavolo o se un quadro si stacca dalla parete. Ma il cuore, quando si spezza, lo fa in assoluto silenzio. Data la sua importanza, ti verrebbe da pensare che faccia uno dei rumori più forti del mondo, o persino che produca una sorta di suono cerimonioso, come l’eco di un cembalo o il rintocco di una campana. Invece è silenzioso, e tu arrivi a desiderare un suono che ti distragga dal dolore.

sabato 12 marzo 2011

Luigi Pirandello da "L'esclusa"

Monica Bellucci
A ogni donna onesta, che non fosse brutta, poteva capitar facilmente di vedersi guardata con strana insistenza da qualcuno; e se colta all'improvviso, turbarsene; se prevenuta della propria bellezza, compiacersene. Ora a nessuna donna onesta, nel segreto della propria coscienza, sarebbe sembrato di commettere peccato in quell'istante di turbamento o di compiacenza, carezzando col pensiero quel desiderio suscitato, immaginando uno sprazzo fuggevole un'altra vita, un altro amore... Poi la vista delle cose attorno richiamava, ricomponeva la coscienza del proprio stato, dei propri doveri; e tutto finiva lì... Momenti! Non si sentiva forse ciascuno guizzar dentro, spesso, pensieri strani, quasi lampi di follia, pensieri inconseguenti, inconfessabili, come sorti da un'anima diversa da quella che normalmente ci riconosciamo? Poi quei guizzi si spengono, e ritorna l'ombra uggiosa o la calma luce consueta.

venerdì 11 marzo 2011

Paulo Coelho: "Costruire o piantare"

Ogni essere umano, nel corso della propria esistenza, può adottare due atteggiamenti: costruire o piantare. I costruttori possono passare anni impegnati nel loro compito, ma presto o tardi concludono quello che stavano facendo. Allora si fermano, e restano lì, limitati dalle loro stesse pareti. Quando la costruzione è finita, la vita perde di significato. Quelli che piantano soffrono con le tempeste e le stagioni, raramente riposano. Ma, al contrario di un edificio, il giardino non cessa mai di crescere. Esso richiede l’attenzione del giardiniere, ma, nello stesso tempo, gli permette di vivere come in una grande avventura.(da "Brida")

Mauro Corona: da “Gocce di resina”

La resina è il prodotto di un dolore, una lacrima che cola dall’albero ferito. Gocce dorate, gialle come miele, che non scappano via, non fuggono come l’acqua, non abbandonano l’albero. Rimangono incollate al tronco, per tenergli compagnia, per aiutarlo a resistere, a crescere ancora. I ricordi sono gocce di resina che sgorgano dalle ferite della vita. Anche quelli più belli diventano punture perchè col tempo si fanno tristi, sono irrimediabilmente già stati, passati, perduti per sempre.

Gabriele D'Annunzio: Rimani

Rimani! Riposati accanto a me. Non te n' andare.
Io ti veglierò. Io ti proteggerò.
Ti pentirai di tutto fuorché di essere venuta a me,
liberamente, fieramente. Ti amo.
Non ho nessun pensiero che non sia tuo;
non ho nel sangue nessun desiderio che non sia per te.
Lo sai. Non vedo nella mia vita altra compagna,
non vedo altra gioia... Rimani. Riposati.
Nom temere di nulla. Dormi stanotte sul mio cuore...

Hermann Hesse: Eleanor

Le sere d'autunno mi ricordano te. 
I boschi giacciono bui, il giorno si scolora 
ai bordi dei colli in rosse aureole. 
In un casolare vicino piange un bimbo. 
Il vento se ne va a passi tardi 
attraverso i tronchi a raccogliere le ultime foglie. 

Poi sale, abituata ormai da lungo ai torbidi sguardi, 
l'estranea solitaria falce di luna 
con la sua mezza luce da terre sconosciute. 
Se ne va fredda, indifferente, per il suo sentiero. 
La sua luce avvolge il bosco, il canneto, lo stagno 
e il sentiero con pallido alone melanconico. 
Anche d'inverno in notti senza luce 
quando alle finestre vorticano danze di fiocchi 
e il vento tempestoso, ho spesso l'impressione di guardarti. 
Il piano intona con forza ingannevole 
e la tua profonda e cupa voce di contralto 
mi parla al cuore. Tu la più crudele delle belle donne. 

La mia mano afferra alle volte la lampada 
e la sua luce tenue posa sulla larga parete. 
Dalla antica cornice la tua immagine oscura guarda 
mi conosce bene e mi sorride, stranamente. 
Ma io ti bacio mani e capelli 
e sussurro il tuo nome. 

Valeria Serra, da “Le parole del mare”

E il mare era per me, e lo è ancora, la più promettete e seduttiva pagina bianca. La pagina non ancora scritta, il sogno non ancora realizzato, il desiderio non ancora estinto, la fuga non ancora portata a compimento, l’assenza che suggerisce la presenza, l’inizio che non ha fine. Nella sua distesa luminosa e sconfinata, nei suoi abissi sconosciuti diventa facile e quasi inevitabile trovare una metafora vivente alla propria irrequietezza, all’istinto di libertà, alle paure e all’inesplorata e profonda regione dell’anima.

Giovanni Pastorino dalla rivista "Il seme"

Se dovessi scegliere un'immagine plastica dell'altruismo, sceglierei una sorgente. Se ne dovessi scegliere una per l'egoismo sceglierei una voragine. La voragine fa esattamente il contrario della sorgente: inghiotte acqua anziché donarla. È avida, ingorda, mai soddisfatta: la sua brama di "prendere" non ha confini. Ma se alla povertà mancano molte cose, all'avarizia mancano tutte. Niente, invece,è più prodigo e più ricco di una sorgente. La sua generosità la rende continuamente operosa, ilare, gioconda. Cosi è dell'altruista. Più dona e più riceve, in uno scambio fecondo e ricco, che non ha né soste né confini.