mercoledì 23 marzo 2011

Giacomo Leopardi "Alla Luna"


O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l’anno, sovra questo colle
Io venia pien d’angoscia a rimirarti:
E tu pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
Il tuo volto apparia, che travagliosa
Era mia vita: ed è, nè cangia stile
O mia diletta luna. E pur mi giova
La ricordanza, e il noverar l’etate
Del mio dolore. Oh come grato occorre
Nel tempo giovanil, quando ancor lungo
La speme e breve ha la memoria il corso
Il rimembrar delle passate cose,
Ancor che triste, e che l’affanno duri! 

Leopardi, cercando e detestando insieme la solitudine, trova nella luna la confidente ideale, discreta e costante: pur nel suo isolamento, si sente ancora parte di una natura palpitante e sofferente (ma viva) e percepisce addirittura nel moto dell’animo e nel ciclo degli astri il senso stesso della vita.
Il poeta parla alla luna; è a lei, amica fidata, che ricorda il se stesso di un tempo: volarono i giorni, cambiarono i motivi del dolore, ma lo scenario di ieri si ripresenta oggi identico. Un uomo piange, la luna ne addolcisce le lacrime e ne illumina i pensieri. Così dal cuore erompe un’invocazione.

Il fitto utilizzo della punteggiatura e la frequenza delle cesure conferiscono alla prima parte del brano un ritmo lento e quasi singhiozzante, che mima bene l’affannosa ricerca di parole di un animo angosciato.
La luna è “graziosa” (gradita, cioè, più che leggiadra) nell’invocazione iniziale; diventa “diletta” in quella finale: il passato è tutto circoscritto, cioè, dalla presenza di una luna che apre e chiude la prima parte della poesia. In Ring-komposition (composizione ad anello) è anche il concetto della rimembranza, al primo e al quindicesimo verso, echeggiante nella fitta rispondenza di parole composte con il prefisso ri- (rimirarti, rischiari, ricordanza), che indica la replica, la continua rivisitazione di uno stesso momento. L’uso del passato è limitato all’imperfetto, che suggerisce l’iterazione: non c’è soluzione di continuità fra ieri ed oggi; il passato si è riprodotto sempre identico a sé fino a diventare presente.

La poesia è fortemente intimistica, come sottolinea l’anafora del pronome personale (io mi rammento…io venia). Eppure, quando il poeta si fa spettatore di se stesso, si identifica nella luna e allora, sul ciglio, il pianto “sorgea”, con una metafora tipicamente astronomica. Tra la natura che risplende e la percezione “nebulosa e tremula” dell’autore, a cui un po’ la malattia agli occhi, molto la dilatazione dovuta dal pianto impedivano un visus chiaro e rassicurante, c’è un’antitesi che ben si attaglia alla poetica dell’autore e alla sua riflessione sul ruolo della natura, ora madre amorevole ora matrigna indifferente alla sofferenza umana.

domenica 20 marzo 2011

George Steiner "Mangiare da soli"

Mangiare da soli ci dà la sensazione di una solitudine particolare, a volte penosa. Invece, nel condividere cibo e bevande, penetriamo nel cuore della nostra condizione socioculturale. Le implicazioni simboliche e materiali di quell'azione sono quasi universali: comprendono il rituale religioso, le strutture e le divisioni dei ruoli fra i sessi, il campo erotico, le complicità e gli scontri politici, le opposizioni giocose o serie nel discorso, i riti del matrimonio o del lutto.

Banana Yoshimoto da "Kitchen"

Victor Gabriel Gilbert "A cup of coffee" - 1877
Non c’è posto al mondo che io ami più della cucina.
Non importa dove si trova, com’è fatta: purché sia una cucina, un posto dove si fa da mangiare, io sto bene. Se possibile le preferisco funzionali e vissute. Magari con tantissimi strofinacci asciutti e puliti e le piastrelle bianche che scintillano.
Anche le cucine incredibilmente sporche mi piacciono da morire.
Mi piacciono col pavimento disseminato di pezzettini di verdura, così sporche che la suola delle pantofole diventa subito nera, e grandi, di una grandezza esagerata. Con un frigo enorme pieno di provviste che basterebbero tranquillamente per un intero inverno, un frigo imponente, al cui grande sportello metallico potermi appoggiare. E se per caso alzo gli occhi dal fornello schizzato di grasso o dai coltelli un po’ arrugginiti, fuori le stelle che splendono tristi.
Siamo rimaste solo io e la cucina. Mi sembra un po’ meglio che pensare che sono rimasta proprio sola.

Madre Teresa di Calcutta "Tieni sempre presente"

Tieni sempre presente
che la pelle fa le rughe,
i capelli diventano bianchi,
i giorni si trasformano in anni.
Pero' cio' che e' importante
non cambia; la tua forza
e la tua convinzione
non hanno eta'.

Il tuo spirito e' la colla
di qualsiasi tela di ragno.
Dietro ogni linea di arrivo
c'e' una linea di partenza.
Dietro ogni successo
c'e' un'altra delusione.
Fino a quando sei vivo,
sentiti vivo.

Se ti manca cio' che facevi,
torna a farlo.
Non vivere di foto ingiallite...
insisti anche se tutti
si aspettano che abbandoni.
Non lasciare che si arrugginisca
il ferro che c'e' in te.
Fai in modo che invece
di compassione,
ti portino rispetto.

Quando a causa degli anni
non potrai correre,
cammina veloce.
Quando non potrai
camminare veloce, cammina.
Quando non potrai
camminare, usa il bastone.
Pero' non fermarti mai.

mercoledì 16 marzo 2011

Plutarco: il re Leonida di Sparta

fotogramma dal film "300"
«Quando Leonida partì per affrontare i persiani alle Termopili, sua moglie Gorgo gli chiese se aveva raccomandazioni da farle; le rispose: “Sposa un brav’uomo e metti al mondo bravi figli”.

Quando gli efori gli fecero notare che portava con ...sé pochi uomini alle Termopili, rispose: “Anche troppi per l’impresa che ci aspetta”.

Gli efori gli chiesero anche: “Quali sono i tuoi piani? Vuoi sbarrare il passo ai Barbari?”. Lui rispose: “L’unica cosa di certo che faremo sarà morire per i Greci”.

Alle Termopili, parlò così ai suoi uomini: “Dicono che i Barbari si sono avvicinati e che noi stiamo perdendo tempo. Sarà: adesso però o li ammazziamo oppure teniamoci pronti a morire”. Uno gli chiese: “Leonida, sei venuto con così pochi uomini a combattere contro una armata?”. Ed egli rispose: “Se pensate che è il numero quello che conta, allora neppure l’intera Grecia basterebbe, perché è poca cosa in confronto alla loro massa. Se invece conta il coraggio, allora anche questi pochi uomini sono sufficienti”» (Plutarco)

Chiusa dell'Apologia di Socrate

Antonio Canova, Apologia di Socrate davanti ai giudici. (part.) Venezia, collezione privata.
Ecco il motivo per cui la voce del dio non mi ha interdetto e perché io, contro i miei accusatori, contro quelli che mi hanno condannato, non ho alcun rancore, sebbene essi mi abbiano accusato e condannato non con questa intenzione, ma per farmi del male: in questo sono da biasimare. Tuttavia io li voglio pregare di una cosa: quando i miei figli saranno cresciuti, puniteli, cittadini, stategli dietro come io facevo con voi, se vedrete che si preoccupano più delle ricchezze o degli altri beni materiali che della virtù e se si crederanno di valere qualcosa senza valer poi nulla, rimproverateli, come io rimproveravo voi, per ciò che non curano e che, invece, dovrebbero curare, se credono di essere «grandi uomini» e poi non sono niente. Se farete questo, io e i miei figli avremo avuto da voi ciò che è giusto. Ma è giunta, ormai, l'ora di andare, io a morire, voi a vivere. Chi di noi vada a miglior sorte, nessuno lo sa, tranne Dio.

martedì 15 marzo 2011

John William Waterhouse

Cecilia Ahern: Quando si spezza il cuore

Se un piatto o un bicchiere cadono a terra senti un rumore fragoroso. Lo stesso succede se una finestra sbatte, se si rompe la gamba di un tavolo o se un quadro si stacca dalla parete. Ma il cuore, quando si spezza, lo fa in assoluto silenzio. Data la sua importanza, ti verrebbe da pensare che faccia uno dei rumori più forti del mondo, o persino che produca una sorta di suono cerimonioso, come l’eco di un cembalo o il rintocco di una campana. Invece è silenzioso, e tu arrivi a desiderare un suono che ti distragga dal dolore.

sabato 12 marzo 2011

Luigi Pirandello da "L'esclusa"

Monica Bellucci
A ogni donna onesta, che non fosse brutta, poteva capitar facilmente di vedersi guardata con strana insistenza da qualcuno; e se colta all'improvviso, turbarsene; se prevenuta della propria bellezza, compiacersene. Ora a nessuna donna onesta, nel segreto della propria coscienza, sarebbe sembrato di commettere peccato in quell'istante di turbamento o di compiacenza, carezzando col pensiero quel desiderio suscitato, immaginando uno sprazzo fuggevole un'altra vita, un altro amore... Poi la vista delle cose attorno richiamava, ricomponeva la coscienza del proprio stato, dei propri doveri; e tutto finiva lì... Momenti! Non si sentiva forse ciascuno guizzar dentro, spesso, pensieri strani, quasi lampi di follia, pensieri inconseguenti, inconfessabili, come sorti da un'anima diversa da quella che normalmente ci riconosciamo? Poi quei guizzi si spengono, e ritorna l'ombra uggiosa o la calma luce consueta.

venerdì 11 marzo 2011

Paulo Coelho: "Costruire o piantare"

Ogni essere umano, nel corso della propria esistenza, può adottare due atteggiamenti: costruire o piantare. I costruttori possono passare anni impegnati nel loro compito, ma presto o tardi concludono quello che stavano facendo. Allora si fermano, e restano lì, limitati dalle loro stesse pareti. Quando la costruzione è finita, la vita perde di significato. Quelli che piantano soffrono con le tempeste e le stagioni, raramente riposano. Ma, al contrario di un edificio, il giardino non cessa mai di crescere. Esso richiede l’attenzione del giardiniere, ma, nello stesso tempo, gli permette di vivere come in una grande avventura.(da "Brida")

Mauro Corona: da “Gocce di resina”

La resina è il prodotto di un dolore, una lacrima che cola dall’albero ferito. Gocce dorate, gialle come miele, che non scappano via, non fuggono come l’acqua, non abbandonano l’albero. Rimangono incollate al tronco, per tenergli compagnia, per aiutarlo a resistere, a crescere ancora. I ricordi sono gocce di resina che sgorgano dalle ferite della vita. Anche quelli più belli diventano punture perchè col tempo si fanno tristi, sono irrimediabilmente già stati, passati, perduti per sempre.

Gabriele D'Annunzio: Rimani

Rimani! Riposati accanto a me. Non te n' andare.
Io ti veglierò. Io ti proteggerò.
Ti pentirai di tutto fuorché di essere venuta a me,
liberamente, fieramente. Ti amo.
Non ho nessun pensiero che non sia tuo;
non ho nel sangue nessun desiderio che non sia per te.
Lo sai. Non vedo nella mia vita altra compagna,
non vedo altra gioia... Rimani. Riposati.
Nom temere di nulla. Dormi stanotte sul mio cuore...

Hermann Hesse: Eleanor

Le sere d'autunno mi ricordano te. 
I boschi giacciono bui, il giorno si scolora 
ai bordi dei colli in rosse aureole. 
In un casolare vicino piange un bimbo. 
Il vento se ne va a passi tardi 
attraverso i tronchi a raccogliere le ultime foglie. 

Poi sale, abituata ormai da lungo ai torbidi sguardi, 
l'estranea solitaria falce di luna 
con la sua mezza luce da terre sconosciute. 
Se ne va fredda, indifferente, per il suo sentiero. 
La sua luce avvolge il bosco, il canneto, lo stagno 
e il sentiero con pallido alone melanconico. 
Anche d'inverno in notti senza luce 
quando alle finestre vorticano danze di fiocchi 
e il vento tempestoso, ho spesso l'impressione di guardarti. 
Il piano intona con forza ingannevole 
e la tua profonda e cupa voce di contralto 
mi parla al cuore. Tu la più crudele delle belle donne. 

La mia mano afferra alle volte la lampada 
e la sua luce tenue posa sulla larga parete. 
Dalla antica cornice la tua immagine oscura guarda 
mi conosce bene e mi sorride, stranamente. 
Ma io ti bacio mani e capelli 
e sussurro il tuo nome. 

Valeria Serra, da “Le parole del mare”

E il mare era per me, e lo è ancora, la più promettete e seduttiva pagina bianca. La pagina non ancora scritta, il sogno non ancora realizzato, il desiderio non ancora estinto, la fuga non ancora portata a compimento, l’assenza che suggerisce la presenza, l’inizio che non ha fine. Nella sua distesa luminosa e sconfinata, nei suoi abissi sconosciuti diventa facile e quasi inevitabile trovare una metafora vivente alla propria irrequietezza, all’istinto di libertà, alle paure e all’inesplorata e profonda regione dell’anima.

Giovanni Pastorino dalla rivista "Il seme"

Se dovessi scegliere un'immagine plastica dell'altruismo, sceglierei una sorgente. Se ne dovessi scegliere una per l'egoismo sceglierei una voragine. La voragine fa esattamente il contrario della sorgente: inghiotte acqua anziché donarla. È avida, ingorda, mai soddisfatta: la sua brama di "prendere" non ha confini. Ma se alla povertà mancano molte cose, all'avarizia mancano tutte. Niente, invece,è più prodigo e più ricco di una sorgente. La sua generosità la rende continuamente operosa, ilare, gioconda. Cosi è dell'altruista. Più dona e più riceve, in uno scambio fecondo e ricco, che non ha né soste né confini.

mercoledì 9 marzo 2011

Emily Dickinson: Solitudine

Ha una sua solitudine lo spazio,
solitudine il mare
e solitudine la morte - eppure
tutte queste son folla
in confronto a quel punto più profondo,
segretezza polare,
che è un’anima al cospetto di se stessa:
infinità finita.

Dante: Deh, Violetta, che in ombra d'Amore

Deh, Violetta, che in ombra d'Amore
negli occhi miei sì subito apparisti,
aggi pietà del cor che tu feristi,
che spera in te e disiando more.

Tu, Violetta, in forma più che umana,
foco mettesti dentro in la mia mente
col tuo piacer ch'io vidi;
poi con atto di spirito cocente
creasti speme, che in parte mi sana
la dove tu mi ridi.
Deh, non guardare perché a lei mi fidi,
ma drizza li occhi al gran disio che m'arde,
ché mille donne già per esser tarde
sentiron pena de l'altrui dolore.

Dante: Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io

Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento,
e messi in un vasel ch'ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio.


sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse 'l disio.


E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch'è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:


e quivi ragionar sempre d'amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i' credo che saremmo noi.

Federico Garcia Lorca: Potessero le mie mani sfogliare

Potessero le mie mani sfogliare
Pronunzio il tuo nome
nelle notti scure,
quando sorgono gli astri
per bere dalla luna
e dormono le frasche
delle macchie occulte.
E mi sento vuoto
di musica e passione.
Orologio pazzo che suona
antiche ore morte.

Pronunzio il tuo nome
in questa notte scura,
e il tuo nome risuona
più lontano che mai.
Più lontano di tutte le stelle
e più dolente della dolce pioggia.

T'amerò come allora
qualche volta? Che colpa
ha mai questo mio cuore?
Se la nebbia svanisce,
quale nuova passione mi attende?
Sarà tranquilla e pura?
Potessero le mie mani
sfogliare la luna!

Federico Garcia Lorca: Conchiglia

M'hanno portato una conchiglia.

Dentro le canta
un mare di mappa.
Il cuore
mi si riempie d'acqua
con pesciolini
d'ombra e d'argento.
M'hanno portato una conchiglia.

martedì 8 marzo 2011

Essere donna

Essere donna è così affascinante. È un'avventura che richiede tale coraggio, una sfida che non annoia mai. Avrai tante cose da intraprendere se nascerai donna. Per incominciare, avrai da batterti per sostenere che se Dio esiste potrebbe anche essere una vecchia coi capelli bianchi o una bella ragazza. Poi avrai da batterti per spiegare che il peccato non nacque il giorno in cui Eva colse la mela: quel giorno nacque una splendida virtù chiamata disubbidienza. Infine avrai da batterti per dimostrare che dentro il tuo corpo liscio e rotondo c'è un'intelligenza che chiede d'essere ascoltata. (Oriana Fallaci)

 

Alcuni anni fa, seguendo il consiglio di una giovane amica, ho letto un libro con passione  e coinvolgimento l’“Intervista a un a bambino mai nato” dalla quale traggo lo spunto per questa che è la tradizionale “giornata della donna”. È vero, infatti, che per secoli e secoli – e in un certo senso anche ai nostri giorni – essere donna è stata una sfida nella quale molte purtroppo si arrendono malamente, assimilandosi nei comportamenti e nei pensieri ai maschi, perdendo così un’identità interiore fatta di valori originali, di doni personali, di sensibilità e finezza.

Sfogliando in questi giorni i siti internet alla ricerca di aforismi e citazioni, proverbi e raccolte, sulla donna sono rimasto sconcertato sia allo scoprire la enorme quantità di personaggi al femminile che hanno lasciato in ogni campo segni indelebili lungo l’arduo cammino della civiltà umana, sia di fronte alla massa enorme di ironie, sarcasmi e contumelie emesse nella storia – anche da autori celebri e venerati – nei confronti della donna. Così come ora è spesso negativa l’altrettanto costante esaltazione della loro bellezza, vista però come semplice ornamento fisico, destinato a diventare materia commerciale negli spot televisivi accanto ad altri oggetti di lusso. In questa mia brevissima riflessione non mi soffermerò sulle squallide polemiche politiche giudiziarie dei nostri giorni poiché non credo siano in alcun modo indice della condizione femminile, vorrei invece esprimermi in favore della donna e della sua specifica identità altra rispetto a quella maschile, diversità della donna che nella nostra epoca è stata conculcata sistematicamente, perché per avere successo nel mondo bisogna adeguarsi agli stereotipi maschili. Essere donna in maniera autentica significa, invece, conservare alcune capacità umane che spesso gli uomini reprimono o ignorano, come la delicatezza, la costanza, la libertà dell’intuizione, la generosità dei sentimenti, la compassione, l’«intelletto d’amore» (come diceva Dante), la tenerezza e così via. Identiche agli uomini come persone, le donne hanno una loro originalità da non stingere o estinguere, ma da custodire con coraggio e testimoniare.