Antonio Canova, Apologia di Socrate davanti ai giudici. (part.) Venezia, collezione privata. |
Ecco il motivo per cui la voce del dio non mi ha interdetto e perché io, contro i miei accusatori, contro quelli che mi hanno condannato, non ho alcun rancore, sebbene essi mi abbiano accusato e condannato non con questa intenzione, ma per farmi del male: in questo sono da biasimare. Tuttavia io li voglio pregare di una cosa: quando i miei figli saranno cresciuti, puniteli, cittadini, stategli dietro come io facevo con voi, se vedrete che si preoccupano più delle ricchezze o degli altri beni materiali che della virtù e se si crederanno di valere qualcosa senza valer poi nulla, rimproverateli, come io rimproveravo voi, per ciò che non curano e che, invece, dovrebbero curare, se credono di essere «grandi uomini» e poi non sono niente. Se farete questo, io e i miei figli avremo avuto da voi ciò che è giusto. Ma è giunta, ormai, l'ora di andare, io a morire, voi a vivere. Chi di noi vada a miglior sorte, nessuno lo sa, tranne Dio.
ecco il passo in lingua originale:
RispondiEliminaδιὰ τοῦτο καὶ ἐμὲ οὐδαμοῦ ἀπέτρεψεν τὸ σημεῖον, καὶ ἔγωγε τοῖς καταψηφισαμένοις μου καὶ τοῖς κατηγόροις οὐ πάνυ χαλεπαίνω. καίτοι οὐ ταύτῃ τῇ διανοίᾳ κατεψηφίζοντό μου καὶ κατηγόρουν, ἀλλ᾽ οἰόμενοι βλάπτειν: τοῦτο αὐτοῖς ἄξιον μέμφεσθαι. τοσόνδε μέντοι αὐτῶν δέομαι: τοὺς ὑεῖς μου, ἐπειδὰν ἡβήσωσι, τιμωρήσασθε, ὦ ἄνδρες, ταὐτὰ ταῦτα λυποῦντες ἅπερ ἐγὼ ὑμᾶς ἐλύπουν, ἐὰν ὑμῖν δοκῶσιν ἢ χρημάτων ἢ ἄλλου του πρότερον ἐπιμελεῖσθαι ἢ ἀρετῆς, καὶ ἐὰν δοκῶσί τι εἶναι μηδὲν ὄντες, ὀνειδίζετε αὐτοῖς ὥσπερ ἐγὼ ὑμῖν, ὅτι οὐκ ἐπιμελοῦνται ὧν δεῖ, καὶ οἴονταί τι εἶναι ὄντες οὐδενὸς ἄξιοι. καὶ ἐὰνταῦτα ποιῆτε, δίκαια πεπονθὼς ἐγὼ ἔσομαι ὑφ᾽ ὑμῶν αὐτός τε καὶ οἱ ὑεῖς. ἀλλὰ γὰρ ἤδη ὥρα ἀπιέναι, ἐμοὶ μὲν ἀποθανουμένῳ, ὑμῖν δὲ βιωσομένοις: ὁπότεροι δὲ ἡμῶν ἔρχονται ἐπὶ ἄμεινον πρᾶγμα, ἄδηλον παντὶ πλὴν ἢ τῷ θεῷ.
FANTASTICO!! GRAZIE MILLE
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