«Il peggior peccato contro i nostri simili non è l'odio, ma l'indifferenza: questa è l'essenza della disumanità.» (George Bernard Shaw)
Qualche tempo addietro, mentre attendevo di essere ricevuto dal mio dentista, prendendo a caso una delle riviste presenti in un contenitore nella sala d’aspetto, notai in testa a un articolo dedicato all'handicap e la sua presenza nella cultura contemporanea, come spina nel fianco della nostra quiete fatta di immagini pubblicitarie perfette, questa citazione dello scrittore irlandese George Bernard Shaw.
Il pensiero è semplice, quasi lapidario e un po’ paradossale. Certo anche l’odio è un vizio grave, ma forse ha ragione questo autore spesso ironico nel ritenere ancor più inquietante e malvagia l’indifferenza. Eppure è proprio questo lo stile di vita e di comportamento a cui ci stiamo assuefacendo. Sappiamo certamente di più sulla miseria del mondo, abbiamo più occasioni di confrontarci con gli altri, diversi da noi, ma il risultato non è quello né della premura né del rigetto, bensì quello della insensibilità.
Si è sempre più distaccati, impassibili, apatici di fronte al mondo che bussa alle porte della nostra casa ben protetta e isolata. Un sostantivo un po’ volgare ma comune definisce in modo netto questo atteggiamento: il “menefreghismo” è il vessillo del nostro tempo, purtroppo a partire dai giovani, che pure dovrebbero essere i più frementi e fervidi.
Un altro grande scrittore, il russo Chechov, non esitava a dire in un suo racconto che lessi molti anni fa (“Una storia noiosa”) che «l’indifferenza è una sorta di elettroshock della coscienza, che dobbiamo più spesso scuotere e interpellare, svegliandola da un letargo fatto di noncuranza e grigiore, così che risuoni ancora in noi l’imperativo morale dell’amore e dell’umanità.»
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