giovedì 30 settembre 2010
«I sapienti sono come spighe di grano: finchè sono vuote si alzano diritte e fiere; ma appena sono colme di chicchi, cominciano ad abbassare la testa.»
(Michel de Montaigne)
Questa estate che ci siamo lasciati alle spalle da poco, ho avuto finalmente il tempo per scoprire, almeno in parte, il pensiero di san Tommaso d'Aquino attraverso due testi divulgativi che mi hanno fatto pensare alle parole di Dante "come accade quando di un cibo si è sazi e di un altro resta ancora il desiderio" (Pd III). Tommaso infatti, grande santo e pensatore, non basterebbe forse una vita per gustarlo tutto pienamente e ne resta sempre la fame.
Questa estate che ci siamo lasciati alle spalle da poco, ho avuto finalmente il tempo per scoprire, almeno in parte, il pensiero di san Tommaso d'Aquino attraverso due testi divulgativi che mi hanno fatto pensare alle parole di Dante "come accade quando di un cibo si è sazi e di un altro resta ancora il desiderio" (Pd III). Tommaso infatti, grande santo e pensatore, non basterebbe forse una vita per gustarlo tutto pienamente e ne resta sempre la fame.
Perdonatemi questo breve episodio biografico per spiegare perchè a san Tommaso mi piace dedicare questo pensiero tratto dai "Saggi" dello scrittore e moralista francese del Cinquecento Michel de Montaigne. Poichè san Tommaso d'Aquino fu di certo il più grande dotto del suo tempo e uno dei massimi di ogni tempo, eppure ancora oggi viene spesso dimenticato e durante la sua vita volle sempre e solo studiare e servire e mai volle dare spettacolo della sua magnifica sapienza. L'immagine adottata è molto efficace ed è tratta dalla vita in campagna, mediante uno sguardo veloce e immediato. Le spighe vuote e leggere si levano in alto, ondeggiano festose sopra la distesa delle spighe colme di chicchi che invece si piegano e si nascondono.
La parabola è limpida: chi continua a segnalarsi, a stare sulla cresta dell'onda, ad amare la visibilità, il primo piano, la notorietà è spesso fatuo e vacuo. Basti solo pensare ai personaggi televisivi, quei "famosi" che svettano dappertutto ma che per fortuna sono destinati a essiccarsi ben presto senza lasciare traccia. Il sapiente ama la riflessione pacata, la quiete, il silenzio e l'umile nascondimento, convinto com'è che il seme della saggezza è destinato a durare attraverso la sua fecondità, generando dopo di sè altra vita. Ai nostri giorni, scanditi dalla legge dell'apparire, questo atteggiamento di serietà può essere anche perdente. Ma è la storia ad esaltarlo ed è la coscienza a giustificarlo.
Cantava il poeta T.S. Eliot nei suoi "Quattro quartetti": «L'unica saggezza che possiamo sperare di acquistare / è la saggezza dell'umiltà».
sabato 25 settembre 2010
martedì 21 settembre 2010
lunedì 20 settembre 2010
giovedì 16 settembre 2010
mercoledì 15 settembre 2010
lunedì 13 settembre 2010
sabato 11 settembre 2010
giovedì 9 settembre 2010
Le quattro candele
«In una stanza silenziosa c’erano quattro candele accese. La prima si lamentava: “Io sono la pace. Ma gli uomini preferiscono la guerra: non mi resta che lasciarmi spegnere”. E così accadde. La seconda disse: “Io sono la fede. Ma gli uomini preferiscono le favole: non mi resta che lasciarmi spegnere”. E così accadde. La terza candela confessò: “Io sono l’amore. Ma gli uomini sono cattivi e incapaci di amare: non mi resta che lasciarmi spegnere”. All’improvviso nella stanza comparve un bambino che, piangendo, disse: “Ho paura del buio”. Allora la quarta candela disse: “Non piangere. Io resterò accesa e ti permetterò di riaccendere con la mia luce le altre candele: io sono la speranza”.»
mercoledì 8 settembre 2010
«Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti / arrivederci fratello mare / mi porto un po’ della tua ghiaia / un po’ della tua luce / e della tua infelicità. / Ci hai saputo dir molte cose sul tuo destino di mare / eccoci con un po’ più di speranza / eccoci con un po’ più di saggezza / e ce ne andiamo come siamo venuti, / arrivederci fratello mare.»
martedì 7 settembre 2010
«Quando in un libro, di poesia o di prosa, una frase, una parola, ti riporta ad altre immagini, ad altri ricordi, provocando circuiti fantastici, allora, solo allora, risplende il valore di un testo. Al pari di un quadro scultura o monumento quel testo ti arricchisce non solo nell'immediato ma ti muta nell'essenza.»
John Keats dalla “Lettera a James Rice” 14-16 febbraio 1820
«È sorprendente, ma l'idea di lasciare questo mondo rende ancora più profondo in noi il senso delle sue bellezze naturali… penso ai prati verdi, medito con il più grande affetto su ogni fiore che conosco dall'infanzia. Le loro forme e i loro colori mi sembrano così nuovi, quasi li avessi appena creati io con fantasia sovrumana. Probabilmente è perché sono legati ai momenti più felici e ingenui della nostra vita. Ho visto fiori di paesi stranieri delle specie più meravigliose nelle serre, eppure non me ne importa un fico secco. Gli unici fiori che voglio vedere sono i semplici fiori della nostra primavera.»
lunedì 6 settembre 2010
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